giovedì 23 aprile 2020

Oggetti smarriti: La lavagnetta di Michalis

Il rapporto che mi lega a questo greco di ghiaccio viene da lontano. E’ un’amicizia di lunga data, coltivata in anni di applicazione costante al gioco, senza pause. Che poi di ghiaccio lui lo era sul campo, non certo fuori; con la gente il suo sorriso gentile esprimeva il vero carattere, quello di un ragazzo intelligente, dai modi delicati, socievole. Fin da piccolo a lui non bastava giocare a basket, o guardare il basket; voleva anche disegnarlo. E allora eccomi qui: sono la lavagnetta di Michalis Kakiouzis. Ora che è diventato allenatore mi porta sempre con sé, ma anche prima non scherzava affatto. Siccome sono una tipa precisa, sistematica, mi piace andare all’origine, per raccontarvi il personaggio.

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Nato ad Atene sotto l’acropoli, all’ombra del Partenone, tra i fregi della gloriosa civiltà ellenica che fu, Michalis saprà raggiungere l’Olimpo del basket europeo. Ma andiamo per gradi. La sua carriera inizia giovanissimo nello Ionikos di Nea Filadelfia, comune dell’Attica di 25.000 anime in cui oltre ai sempreverdi scavi archeologici l’unico passatempo sembra essere la pallacanestro. Ma ad un certo punto anche chi scava si rende conto; si cominciano a lasciare da parte i capitelli e si confluisce in massa verso il palazzo dello sport: c’è da vedere giocare uno di 16 anni che fa faville.

Il ragazzo, a furor di popolo, passa ben presto dalle giovanili alla prima squadra, dove disputa 3 campionati di A2 greca affinando via via le sue doti come un orefice nel suo laboratorio. Versatile, elegante, chirurgico. Kakio riesce alla perfezione ad interpretare sia il ruolo di tre che quello di quattro moderno, quando ancora il suddetto concetto era piuttosto sfumato, con la naturalezza con cui Robert De Niro interpreta Taxi Driver. Nel 94/95 è già primo realizzatore e secondo rimbalzista del torneo. Ah, e poi ovviamente comincia l’esperienza con la Nazionale: pronti via e medaglia d’oro ai mondiali juniores con la Grecia. 

L’Aek Atene intanto, che ha spie sul territorio peggio del Mossad, non se lo fa sfuggire e nel ‘95 siamo già di nuovo a casa, ad Atene. Lì rimane, in un periodo in cui il senso di appartenenza contava ancora qualcosa, per 8 stagioni. Lì vince uno scudetto, due coppe di Grecia e raggiunge una storica finale di Eurolega nel 1998, persa contro la Virtus Bologna di Messina, Danilovic, Nesterovic e compagnia cantante e danzante.
  
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Quando per la prima volta Michalis lascia l’Ellade, Cor Magis SIBI (cioè a lui) Sena Pandit, e lui, Kakiouzis, risponde alla grande, esaltando ancor di più le doti del suo predecessore, l’indimenticabile Milenko Topic, un altro con la lavagnetta sempre in mano, pronto a imparare e al contempo ad insegnare. A Siena ci si rende subito conto di cosa significhi l’idea di opportunismo offensivo applicata al basket: quando conta, Michalis è sempre pronto con la zampata risolutiva. Un tocchetto in tap-in, un tiro rubato in una zona morta della difesa, un contropiede in cui sembrava aver perso un giro e invece era lì, rapace, alla Pippo Inzaghi. 

Nel 2004, dopo l’addio di Ataman e l’affermazione europea con le prime Final Four di Barcellona, in panchina, a dare le direttive,  c’è Charlie Recalcati, che insegue il suo terzo titolo in tre città diverse dopo Varese e Bologna. Accanto, Michalis ha gente come il ragionier Stefanov, Thornton, Andersen, Vanterpool e ovviamente il sindaco Minda Zukauskas. Per Siena è un’annata da sogno, quella. Fra tutte le talentuose variabili che il coach può utilizzare, c’è una costante: gran parte del gioco, quando Kakio è in campo, passa da lui. Tante mie colleghe lavagnette hanno fatto una brutta fine quando passavano dal Palasclavo. Sento ancora i loro crack sulle panchine. Io invece venivo accarezzata dal pennarello. 
  
In campo, Michalis era il filtro perfetto tra esterni ed interni, facendo passare il pallone, come per osmosi e in modo del tutto naturale quando ancora non lo faceva nessuno, da una zona all’altra. Per i pari ruolo tutto ciò risultava spesso un enigma indecifrabile. Vero, il suo tabellino spesso non aveva i numeroni delle superstar, ma se si potesse dare un peso specifico a quei punti, legato all’importanza, al momento della partita in cui venivano segnati, allora emergerebbe il loro vero valore. Per la prima volta non è solo l’asse play-pivot a risultare decisiva, ma se si vuole vincere si deve anche transitare delle zone dell’ala. E giù allora schemi e soluzioni disegnati su di me da mille mani, in cerca del dettaglio da correggere, da affinare. Tutto per arrivare all’appuntamento col destino, quelle nove vittorie in altrettante partite durante i playoff di quell’anno che condurranno la squadra allo scudetto. 

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Siena per Kakio è stato il vero trampolino di lancio verso la sua clamorosa carriera, che lo porterà nel 2005 a sollevare, da capitano, a Belgrado, la coppa di campione d’Europa e poi a vestire alcune tra le casacche dei club più blasonati del vecchio continente. Devo ammettere che, da quando Kakio siede in panchina, sono molto più a rischio rottura oggi di un tempo, ma per una lavagnetta questi sono i rischi del mestiere.

 
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