giovedì 4 giugno 2015

Per un pugno di euri

La botta di tristezza inguaribile di vedere all'asta pezzi di latta intorno a cui si è consumata la storia del basket, di una società, di un popolo. Quei trofei messi mille volte al centro di foto posate, abbracciati da giocatori e politici, stretti da mani che avevano fatto un canestro, preso un rimbalzo o rubato un pallone, o da mani che avevano fatto altro.

Il cazzotto alla bocca dello stomaco che lascia senza respiro a vedere che partecipare all'asta era possibile, oltre che doveroso. Non farlo è stata una decisione al buio, senza sapere cosa avrebbe comportato, scommettendo sul mandare le aste deserte (che significa affidarsi a un oblio del mondo esterno che in realtà si cerca ogni giorno di combattere, perché qui si è fatta la storia. La propria prima ancora che quella del basket italiano).

Come ogni scelta al buio, va valutata solo alla fine, quando i risultati sono definitivi. E non sono ancora definitivissimi. Nel senso che dei tre trofei degli scudetti aggiudicati all'asta a prezzi ridicoli, uno (lo scudetto 2013, più il titolo cadetti 2002) risulta finito nelle mani amiche e affidabili di un tifoso mensanino. Purtroppo conta solo il senno di poi. Magari con le ore e coi giorni si scoprirà che è così anche per gli altri (il primo scudetto, quello del 2004, e il primo dell'era Pianigiani, quello del 2007), e - grazie solo ai tifosi - si potrà fare un certo bilancio di questa scelta. Anche se non esime dal rischio preso nel lasciare andare così le cose. Oppure si scoprirà che sono finiti altrove, e il giudizio è quello che si prospetta al momento, più severo, rabbioso.

Qui si è sempre detto (anche di recente) che più degli oggetti in sé conta il sentire proprie da parte di un popolo le imprese che hanno portato a quei successi. Conta il riconoscimento in capo alla rinata Mens Sana dell'albo d'oro della sua costola mandata al fallimento, e questa è la battaglia da combattere. Lo è sempre stato, lo è stato tanto più dopo la decisione di non partecipare all'asta dei trofei, nel giorno della cui messa in vendita è arrivato l'anticipato comunicato della società. Che però - rispetto all'idea, con una sua dignità, di fare di necessità virtù - si è limitato alla resa, alla non partecipazione all'asta, senza rilanciare la battaglia in quest'altro ambito. Che lo si faccia comunque senza dirlo (e non lo so, lo spero solamente) non basta: la piazza ha bisogno di capire che questo è l'approccio scelto, non quello di abbandonarsi agli eventi e sarà quel che sarà.

COMUNICATO SULLA PARTECIPAZIONE ALL'ASTA DEI TROFEIMens Sana 1871, in vista dell’asta dei trofei della Mens Sana...
Posted by Mens Sana Siena 1871 on Mercoledì 3 giugno 2015

Ma non bastavano le eventuali questioni di principio a rinunciare del tutto a esserci. Il fatto che in molti la pensino diversamente, sul fatto che quei trofei NON fossero solo latta, evidentemente rafforza il concetto. E peraltro è un delitto che negli anni non si siano ancora mai poste le basi per un museo della storia del basket mensanino, ma questo è un altro discorso. Non partecipare poteva aver senso nella misura in cui si rischiava di essere vittima degli sciacalli, era impossibile partecipare o altro. I fatti hanno dimostrato tutt'altro. E partecipare almeno alla vendita libera finale, dopo le precedenti quattro aste al ribasso, era un dovere. Avrebbe permesso di non cedere a eventuali ricatti e contemporaneamente non farsi sfuggire la situazione di mano. Non partecipando, ci si è trovati di fronte al rischio che finissero altrove non solo tre trofei (e non è noto quanti in mani amiche) ma molti di più. Anche tutti.

Riassumendo. In una fase preliminare dell'asta online sono andati venduti nove maglie autografate e tre palloni, tutti a 30 euro (più spese accessorie) tranne una casacca di Kaukenas a 50. A fine giornata poi in sede di vendita libera, dopo che erano andate deserte le quattro aste al ribasso, sono stati venduti: un megalotto da 50 coppe e riconoscimenti a 10 euro (?!) che diventano 13 con le spese, lo scudetto 2004 a 460 euro (612 con le spese), lo scudetto 2007 a 10 euro (13 con le spese), lo scudetto 2013 a 10 euro (13 con le spese).

Roba da ditate nell'occhi. Tranne il titolo 2004, andare a rifarli alla Timbri e Targhe costa di più che comprarli all'asta. E la caparra che serviva per partecipare non è una scusa. Con 640 euro ci si portavano a casa i trofei venduti, senza doversi sedere di nuovo al tavolo col curatore fallimentare, come è il minimo aspettarsi che succeda adesso per tutti gli altri trofei. Con un migliaio di euro o poco più ci si portava a casa tutto, a 13 euro a coppa. Aver dimostrato che la valutazione iniziale di 60mila euro era completamente ingiustificata è un dato di fatto, ma oggi è una soddisfazione da poveretti di fronte allo scenario concreto di vedere il patrimonio di un popolo andare altrove.

Come detto, un giudizio vero sarà possibile solo alla fine, dopo aver visto come andrà con i trofei rimasti invenduti, se ci fossero altre liete sorprese su quelli venduti (ma le sorprese sono qualcosa su cui non si ha alcun merito...), sul fatto che ci si muova o meno per il riconoscimento dell'albo d'oro. Ma non è presto per tirare già qualche conclusione. Ovvero che a mancare non sono stati i tifosi, che un buon gruzzoletto erano riusciti a raccoglierlo, almeno come sottoscrizioni. La Polisportiva no? Ed è grazie ai tifosi, al "senso civico" di uno di loro, che almeno lo scudetto 2013 non è finito in mani sbagliate. A mancare è stata la Polisportiva. In verità da quasi subito, da quando il grosso del peso (la totalità? la quasi totalità? sicuramente la maggior parte) della grande attività per il riacquisto dei trofei è stato sulle spalle del Comitato.

Farsi carico di una ripartenza comporta onori e oneri. Chi si fa carico di una ripartenza non lo fa per gli onori. Chi si fa carico di una ripartenza ha chiaro che saranno molti di più gli oneri. La Polisportiva lo ha dimostrato in molte fasi di quest'ultimo anno di storia del basket mensanino. Non in questa questione. E la retorica sullo schiaffo alle sezioni più povere della Polisportiva, concetto giusto in teoria e anche in pratica, perde senso a fronte degli sforzi che già sono stati messi in campo.
 
Non se ne sono già spesi 80mila per il riacquisto del materiale "tecnico" della vecchia Mens Sana Basket? Spese di avviamento. Senza entrare nel merito di eventuali sprechi in alcuni aspetti organizzativi, in una stagione costata 750 mila euro, non ce ne sono mille per il riacquisto dei trofei? Non ce ne sono in un bilancio dell'intera Polisportiva che negli anni scorsi era sempre stato da 1.5-2 milioni di euro annui? Non per fare i conti in tasca al club senza averne gli elementi, ma non è anche a questo che potevano servire incassi inizialmente non previsti come gli almeno 10mila euro di sponsorizzazione last minute dalla Diamond Private Investment (al di là della speranza che se son rose fioriranno ancora di più)? Ci si è presi un rischio, decidendo di non partecipare, con le conseguenze adesso che il rischio comportava.

Ci sarà modo di riparlarne. Innanzi tutto con un pensiero in chi ci ha creduto, sottoscrivendo una quota a volte non trascurabile per il riacquisto dei trofei. Poi vedendo se qualcosa ancora si può fare, e se la Polisportiva lo farà. Questa dell'asta dei trofei era una dolorosa parentesi nel momento in cui sul campo ci si gioca la stagione. E' il giorno del pivotal game, gara-2: vincerla indirizza la serie, perderla indirizza la serie. Gli sforzi di tutti (squadra, staff, società, città, gente) di un'intera stagione meritano che tutti i pensieri, le energie e la passione di un palazzo auspicabilmente ancora pieno e bollente, siano concentrati sull'unico obiettivo di spingere questo gruppo di lavoro alla promozione sul campo, senza che questioni anche importanti distolgano anche solo una parte di questi sforzi. Poi a bocce ferme ci sarà modo di tornare su tutto, non è uno di quegli argomenti di cui ci si dimentica.

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