Nei giorni scorsi Michele Carrea, coach di Biella, è stato nominato allenatore del mese del girone. A febbraio era stato Luca Ansaloni. A gennaio di nuovo Carrea. A dicembre Franco Ciani. A novembre Giovanni Perdichizzi. A ottobre Antonio Paternoster. Mancano ancora quattro giornate e i conti si fanno alla fine, ma a Siena c'è un tecnico, Alessandro Ramagli, che non può non essere tra i candidati ad allenatore dell'anno. Per una serie di buoni motivi.
A Siena c'è un allenatore di cui si dice che le sue squadre partono piano e poi crescono sempre più forte: al momento ha vinto nove delle ultime undici partite. Che in estate ha preso in mano una neopromossa nuova per nove decimi (quindi dieci) e a quattro giornate dalla fine della regular season praticamente l'ha portata ai playoff. Che in estate (non facciamo neanche discorsi di budget ma di roster) aveva almeno sei-sette squadre davanti, e che adesso dopo 26 giornate ne ha solo due, una a +2 e l'altra a +4.
Un tecnico che, lo dice lui, non si considera un allenatore "tattico", ma quando è servito con alcune soluzioni tattiche ha anche saputo vincere delle partite. Si considera un allenatore di atteggiamento ed energia, e infatti ne ha fatto il punto di forza della sua squadra. Un tecnico che, al di là di come si può ragionevolmente uscire dal mancato lieto fine dell'esperienza a Verona - per quanto ripartire da un roster giovane sia una bella botta di vita, e per quanto rimettersi in gioco sia stata una sua liberissima scelta - si è ritrovato a lavorare in palestra con un materiale tecnico di un livello diverso rispetto a quello con cui ha avuto a che fare per tutta la carriera.
Un tecnico che, insieme al suo staff - di evidente livello per la categoria - per alcuni nelle ultime settimane è stato considerato un lusso evitabile per un club che (per motivi di cui si parla da mesi, non rientriamoci) ha fatto la squadra con più soldi di quelli che aveva. Si è rivelato la scelta giusta perché con la sua esperienza e con la qualità del lavoro suo e dei suoi assistenti non ha mai fatto pesare le difficoltà di lavorare in una società "corta" (perché così la Mens Sana può permettersi di strutturarsi al momento, non è colpa di nessuno), o comunque accorciata dalle necessità contingenti, con un direttore sportivo - Lorenzo Marruganti - a lungo fagocitato dalla contemporanea mansione di presidente (e presidente in una situazione del genere).
Si è rivelato la scelta giusta, perché lui col suo staff è stato un moltiplicatore della qualità del materiale a disposizione, in un campionato in cui è diventato sempre più evidente che la differenza la fa l'identità delle squadre, molto più che il loro talento. E anche a livello individuale, da Bryant e DiLiegro a Cucci e Bucarelli, da Roberts e Udom a Borsato e Ranuzzi, certo ognuno in maniera diversa, ma non c'è un giocatore della Mens Sana il cui basket non sia cresciuto rispetto a inizio stagione.
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