venerdì 18 giugno 2021

La fine del processo a Minucci chiude un'epoca. E adesso?

A nove anni di distanza da quando nel 2012 presero le mosse i primi atti d'indagine, 2597 giorni dopo quel dirompente 8 maggio di sette anni fa in cui la scelta degli arresti da parte della Procura consegnò alla storia le immagini simbolo dell'operazione, e incidentalmente (e del tutto casualmente) nel 14° anniversario dello scudetto 2007, il primo dell'era-Pianigiani, l'accoglimento del patteggiamento sulla condanna di Ferdinando Minucci è l'ultimo e più significativo mattone che scrive la parola fine sull'inchiesta Time Out, che ha prima accompagnato, poi ricostruito e giudicato la caduta della Mens Sana Basket SpA, e i suoi risvolti penali.  

A conclusione della vicenda, giova per chiarezza un punto finale sugli esiti dei procedimenti nei confronti dei 14 indagati al momento della chiusura dell'inchiesta il 21 dicembre 2017 per reati che andavano dall’associazione a delinquere al riciclaggio e alla ricettazione passando per numerosi reati tributari tra i quali frode fiscale, bancarotta fraudolenta, emissione di fatture per operazioni inesistenti ma anche omessa denuncia, false comunicazioni sociali e ricorso abusivo al credito. Per completezza è utile ricordare che i componenti degli ultimi cda e del collegio dei revisori sono stati coinvolti in sede civile, dove era stata avanzata una richiesta di risarcimento da 33,5 milioni, mentre l'innalzamento della soglia di punibilità penale intervenuta in questi anni ha fatto uscire dall'inchiesta in penale i tesserati e i dipendenti che hanno comunque dovuto chiarire col fisco la propria posizione dal punto di vista amministrativo. Così invece sul fronte penale:
  
Il 25 gennaio 2018 il gup Roberta Malavasi chiuse l'udienza preliminare con due patteggiamenti, cinque riti abbreviati e un non luogo a procedere.
 
Luca Anselmi patteggiamento a 2 anni (pena sospesa) con 50000 euro versati alla curatela fallimentare 
Stefano Bisi non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato
Olga Finetti 3 anni di reclusione e confisca per 80.000 euro
Alberto Galluzzi trasferito il fascicolo al tribunale competente di Rimini  
Cesare Lazzeroni 1 anno e 4 mesi (pena sospesa) e confisca per 4 milioni di euro
Nicola Lombardini (socio Essedue) 3 anni (il pm ne aveva chiesti due) e confisca per 3 milioni di euro
Jacopo Menghetti 2 anni (pena sospesa, il pm aveva chiesto 1 anno e 6 mesi) e confisca per 900.000 euro
Stefano Sammarini (titolare Essedue) 4 anni e 8 mesi (il pm aveva chiesto 4 anni e 6 mesi) e confisca per 2,5 milioni di euro
Paola Serpi patteggiamento a 3 anni con 80.000 euro già versati alla curatela fallimentare
 
Cinque le persone rinviate a giudizio, con questi esiti. 

(27 giugno 2019 - giudice Luciano Costantini)
Rosanna Mereu patteggiamento a 2 anni più la confisca di 79mila euro
(19 novembre 2019 - giudice Luciano Costantini)
Federica Minucci assolta perché il fatto non sussiste
Pierluigi Zagni assolto perché il fatto non sussiste
 
fino all'ultimo epilogo del 17 giugno 2021
Ferdinando Minucci patteggiamento a 4 anni e 10 giorni con 10 anni di interdizione di pubblici uffici e confisca di 3,7 milioni di euro
Alessandro Terenzi (commercialista Essedue) assolto dai reati ascritti

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Per i non laureati in giurisprudenza (come peraltro chi scrive, ma speriamo di limitare al minimo le corbellerie) per i condannati fino a due anni non c'è detenzione perché si parla di pena sospesa. Ma di fatto non c'è neanche fino ai quattro anni: è quella la quota massima fino a cui si evita la detenzione, completando la pena con altri istituti giuridici come l'affidamento ai servizi sociali (fino a due anni, da sommare ai due di pena sospesa). Una misura che era prevista fino ai tre anni di condanna, estesa poi a quattro con la riforma "svuota carceri" del 2015. Da qui la strategia di un patteggiamento eccedente i quattro anni solo di pochi giorni (10): quei giorni eccedenti sono quelli che Ferdinando Minucci ha già scontato subito dopo l'arresto del 2014, restando così oggi sotto quella fatidica soglia dei quattro anni e così evitando la detenzione. Alla pena di 4 anni e 10 giorni va associata, oltre all'interdizione dai pubblici uffici (ma non risultano in cantiere sue candidature a sindaco...), una confisca cospicua seppur non la più alta tra i condannati che, in assenza di profili legati all'appropriazione indebita, è da legare alla compensazione nei confronti del fisco dei reati tributari accertati. 
    
Tutte formulate attorno a una pena analoga, erano già andate a vuoto le precedenti tre richieste di patteggiamento: il 21 dicembre 2017 il gup Roberta Malavasi la rigettò per mancata estinzione dei debiti tributari relativi ai reati contestati; il 27 giugno 2019 il collegio presieduto da Luciano Costantini considerò la richiesta ammissibile (non ritenne in capo a Minucci l'obbligatorietà di accollo del debito, non essendoci identità tra imputato e contribuente) ma non congrua in base ai reati contestati; il 7 novembre 2019 il collegio presieduto da Ottavio Mosti (a cui è stato rinviato il procedimento dopo l'astensione del primo collegio) respinse una richiesta analoga, motivata dalla prescrizione di alcuni reati fiscali e dall'attenuante per il risarcimento nei confronti della curatela, ritenendo non ammissibile la riproposizione del patteggiamento già sottoposto a un altro collegio. E così si era andati a dibattimento: che dal 2012, o 2014, è iniziato solo nel gennaio 2020, ma poi quando è partito è stato abbastanza rapido ad arrivare a sentenza.

Per sapere perché stavolta la richiesta è stata accolta bisognerà attendere le motivazioni entro 90 giorni, quello che si sa è perché la difesa (in accordo con l'accusa) l'ha riproposta. Caduta già in sede di rinvio a giudizio (gennaio 2018) l'imputazione per appropriazione indebita, la difesa ha puntato sull'alleggerimento della posizione di Minucci anche per la prescrizione di alcuni reati fiscali, per la convinzione che altri reati non sussistessero e per l'avvenuto risarcimento alla curatela fallimentare, che infatti non si è costituita parte civile, con il versamento di 687mila euro di "condotta riparatoria", oltre a una certa collaborazione, compreso un dibattimento che si è rivelato molto più snello rispetto ai propositi iniziali di 140 testimoni da sentire. Secondo quanto dichiarato dai suoi legali, i reati per cui Minucci ha patteggiato sono l'associazione a delinquere legata alla sovrafatturazione e alcune delle contestazioni legate alla bancarotta: durante il dibattimento Minucci ha ammesso la pratica delle false fatturazioni, motivandola con la creazione di fondi in nero da destinare agli emolumenti di tesserati e dipendenti (più un caso, ammesso, per finanziare un'operazione mediatica), e quanto alla bancarotta ha addebitato la crisi del club a quella della banca e quello che ha significato in termini di mancati introiti.
  
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La vicenda giudiziaria che ha segnato la fine della Mens Sana Basket SpA si chiude così con pene non clementi, anche sul profilo economico, che a fronte di fatti accertati sanciscono con ogni evidenza che in quegli anni sono state adottate pratiche amministrative perseguibili di fronte alla legge. Fatta pace da tempo con la scelta di non allargare lo sguardo poco più in là, e sarebbe stata l'occasione per fare un vero ragionamento sistemico sul mondo del basket e dello sport, è una constatazione oggettiva che l'impianto accusatorio complessivo è arrivato al traguardo in una forma ben diversa da come era deflagrato in quella primavera 2014. Che una serie di comportamenti addebitati non siano stati commessi o non siano stati dimostrabili in sede processuale cambia poco in termini legali: l'esito finale è lo stesso, almeno di fronte alla legge. Poi i giudizi etici e morali su un'epoca e la sua fine sono invece un argomento diverso, che merita di essere approfondito a parte, e su cui tra guelfi e ghibellini ognuno sarebbe comunque rimasto della propria opinione al di là delle decisioni dei tribunali. 

Come nei più controversi casi della storia d'Italia - e non sembri esagerato l'accostamento: nell'ambito del basket e della storia cittadina, il tenore è esattamente questo, certo non inferiore - la cristallizzazione di una verità giudiziaria è l'unico modo per mettere un punto fermo da cui poter andare oltre, tutti. E così, accettando il verdetto dei tribunali e andando avanti, l'unico modo per storicizzare l'epoca Minucci, in particolare una parte di quell'epoca, l'epoca-Montepaschi, come è stato impossibile fare finora forse vivendo, ognuno dal proprio punto di vista e con le proprie (inconciliabili) recriminazioni, la questione come una ferita ancora aperta. Chiarito nell'unica via definitiva possibile il perimetro delle contestazioni, la fine del procedimento giudiziario permette di suturare e cicatrizzare la fine di quell'epoca per arrivare forse non a una pacificazione nazionale, o cittadina, o del mondo del basket, ma almeno a tornare a parlare di basket e di quello che sul campo è stata la Mens Sana nella storia del basket italiano, dopo anni di ipocrita rimozione totale.
  
Il fatto che giri pagina anche Ferdinando Minucci smette di essere una questione privata e diventa di dominio pubblico alla luce delle forme già tracciate di un suo possibile ritorno sulla scena. Girando pagina anche letteralmente, perché ha senso aspettarsi che sia arrivato il momento dell'uscita del suo annunciato libro sulla vicenda, che doveva uscire più di un anno fa - nei propositi precedenti alla pandemia - e con la fine del procedimento potrebbe arrivare in estate: "Memorie, sospetti e bugie" è il titolo che gira da tempo nei siti di editoria online con tanto di editore (senese), prezzo di copertina (14 euro) e un numero di pagine che nel frattempo sarà diventato ancora più corposo, e nel mirino altri protagonisti di quegli anni anche se ormai sono quasi tutti usciti di scena (quasi, appunto). Sarà poi il tempo a dire se questo sarà l'ultimo capitolo della storia che conosciamo o invece il primo capitolo di qualcos'altro, perché è vero che ci sono state la radiazione sportiva e le condanne penali, ma ci sono tanti modi, dal punto di vista imprenditoriale e manageriale, per tornare in gioco. 
 

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