sabato 16 novembre 2024

La condanna di Filippo e Massimo Macchi

Il giorno della condanna in primo grado di Filippo e Massimo Macchi per i reati che hanno portato al fallimento la Mens Sana Basket 1871 scrive le ultime righe di una storia da cui sembrano passati vent’anni, se non ci fossero le conseguenze che si pagano ancora oggi a ricordare che di anni ne sono passati solo cinque. Conseguenze in termini di danni fatti perfino oltre l’annientamento del basket mensanino, che è dovuto ripartire letteralmente da zero, ma anche in termini di disastri reputazionali che sono rimasti attaccati a Viale Sclavo: a rigor di logica non avrebbero dovuto entrarci niente con la società nuova, ma di fatto l’hanno costretta ad anni di lavoro per ripulire l’immagine di un nome glorioso e ricostruire la fiducia con la città, dopo che aziende messe in fuga da mesi di malaffare sono andate comprensibilmente altrove e solo lentamente si stanno riavvicinando.
   
Difficile che una sentenza riesca a farsi portatrice di tutto questo. Senza voler mettere insieme le pere con le mele tra casi oggettivamente molto diversi: Ferdinando Minucci aveva patteggiato una pena di quattro anni e dieci giorni, Filippo e Massimo Macchi sono stati condannati a sei anni con revoca della condizionale. In attesa di leggere le motivazioni, se la severità della giustizia ordinaria sia commisurata ai misfatti, o invece insufficiente, è obiettivamente materia per chi ha più esperienza di giurisprudenza e soprattutto ha avuto accesso a tutti gli atti. Atti in cui peraltro è impossibile che sia entrato la metà, un terzo, un decimo di tutto quello che è effettivamente successo - perché troppe cose, seppur di cristallina realtà, sono poi difficilmente dimostrabili in un tribunale - col grande rimpianto di non essersele scritte tutte a suo tempo perché qualcuna si finisce per dimenticarsela: un molesto cinepanettone di sketch purtroppo verissimi ma talmente assurdi che chi non li ha visti coi propri occhi fatica a crederci, paradossale ostacolo per far capire all’esterno qual era l’incredibile realtà delle cose.
   
Danno collaterale, ma comunque ulteriore, il finale così (societariamente) cruento ha chiuso nella maniera più sanguinosa anche l’utopia della stagione dei tifosi in società - gli stessi tifosi che qualche mese prima erano stati protagonisti di un salvataggio storico - cristallizzando la conclusione che quell’epilogo fosse inevitabile e quella forma di partecipazione irrealistica. Ma così si butta il bambino con l’acqua sporca. Quando invece con più equilibrio è probabilmente (con inevitabili cambiamenti) un sistema
ancora sensato - compresa l’idea del consorzio e il lavoro fatto anche su quel fronte - e in parte già riprovato, in un altro contesto. Ma facendo tesoro di quell’esperienza, che a un certo punto stava procedendo verso il fallimento, di fatto solo rimandato, ma anche reso più fragoroso, dall’arrivo dei Macchi. 
 
E invece, tra i tanti cascami emersi da subito, restano almeno un paio di lezioni. Innanzi tutto che alle voci di dissenso e allo spirito critico, se in ballo c’è il bene comune (della Mens Sana) e non è polemica fine a se stessa, bisognerebbe sapere dare un peso, e una dignità, e ascolto. Anche critico ma ascolto. E invece ai tempi la claque si sperticava le mani fino al brindisi di Natale e anche oltre, coi buoi già scappati da mesi salvo volersi foderare gli occhi con metri di prosciutto di fronte all'evidenza: non tutti potevano avere gli elementi per cogliere appieno la situazione, ma l’ottusità superficiale di tacciare di nemico chi osava avanzare dubbi e osservazioni circostanziate è invecchiata male male. E questo vale sempre, anche oggi.
 
Seconda lezione. Siccome è andata male, nel peggiore dei modi, dare fiducia a qualcuno, di per sé, non è un peccato mortale e dal finale già scritto: prima o poi la Mens Sana si troverà di nuovo nella situazione di valutare se farlo o meno, nei confronti di qualche soggetto. Certo con le dovute cautele, che a suo tempo sono state a dir poco blande (anche per la disperata ricerca di un salvatore), chi arriva va messo alla prova dei fatti: non vuol dire che siano tutti banditi, o comunque non vuol dire che tutti i banditi siano anche kamikaze poco furbi, e arrivino a Siena in preda a un’inguaribile missione autodistruttiva. In certe epoche a Siena si è vissuto qualcosa di oggettivamente unico. Sperando di tornare a dirlo in senso positivo.

 


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19 maggio 1973 

 

 

 

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