sabato 23 gennaio 2021

Dado

 Dado era magnetico, se solo aveva voglia di parlare.

In gran parte per l'imponenza di una mole niente affatto comune, in parte per quel vocione, sì profondo, ma pur sempre amichevole, come solo l'accento toscano sa essere.

Come calamitate, teneva a sé capannelli di persone, supportando il linguaggio popolare e colorito con ampi gesti delle braccia e del corpo, smorfie del volto e occhiate, ma infine pure con grandi sorrisi che stemperavano il pathos che sapeva creare.

Una simpatica canaglia. Un istrione che avrebbe potuto raccontare tutto e il contrario di tutto con la stessa identica e assoluta efficacia.

Proprio come quel venerdì, appena concluso l'allenamento alla vigilia della trasferta di Verona, con i giocatori già sotto la doccia, circondato da un nugolo di appassionati.

L'Italia cestistica sapeva, non di meno i tifosi senesi, che la Glaxo di Alberto Bucci, Frosini e Moretti era la naturale candidata alla promozione in A1. Di più, era la predestinata.

Ebbene, parlando di come i suoi avrebbero affrontato la partita non si accontentò di gigioneggiare, ma vi fece anche la scarpetta.

Loro sono una corazzata. Un carro armato!”.

Se il suono di quelle parole già faceva rabbrividire, la teatrale mimica del corpaccione esasperava una situazione che ora gelava il sangue. “...una corazzata. Un carro armato! E noi andremo a combatterli con le lance”.

Ci sbriciolano, pensavamo.

Poi quel vocione riprese “Andiamo là, ma dovremo essere BRAVISSIMI”.

Abbiamo una sola possibilità...” e con un gesto per una volta minimale “dovremo mettere la punta delle lance nelle loro feritoie”, disse simulando un attacco al pertugio da dove un tempo i carristi guardavano la strada.

In stridente contrasto con lo stato d'animo degli astanti, rideva, diavolo di un Dado!

La verità è che la sapeva lunga, perché se da grande affabulatore qual era si era bonariamente preso gioco dei tifosi, quel che più contava l'aveva fatto come al solito: caricare a molla i giocatori, dopo avergli dato tutte, ma proprio tutte le armi per giocarsela.

La storia ci dice infatti che se non fosse stato cancellato un canestro da 3 di Vidili sulla sirena, quella partita la Mens Sana e Dado l'avrebbero portata a casa!

***

Gianfranco Lombardi non aveva un temperamento facile, no, ne sanno qualcosa i suoi ex giocatori e collaboratori.

Non tollerava primedonne e divi, non accettava fronzoli, improvvisazioni, scarso impegno, non sopportava l'esser contraddetto.

Una vita d'inferno per chi gli lavorava intorno, tanto più che non le mandava a dire e quando ciò accadeva (sempre) era una reprimenda pubblica e plateale.

Infatti nell'estate del 1989 si legò alla Mens Sana tra lo sconcerto dei più. Tra gli allenatori era certamente il più detestato dai supporters senesi, se non addirittura odiato.

Però... Però era un professionista. E che professionista!

Dado Lombardi
13 gennaio 1991, la Ticino vince a Pavia 95-100: Dado Lombardi in tripudio

Nato in una Livorno resa spettrale dalla guerra e affamata dalla miseria, rivelò un talento fuori dal comune per “pallonessa” e canestri, tanto da affermarsi come uno dei maggiori talenti offensivi che la pallacanestro italiana ricordi.

Ancor prima di chiudere la fulgida carriera di giocatore iniziò a dedicarsi, come i grandi Rubini e Gavagnin, anche al ruolo di allenatore. Ruolo abbracciato poi a tempo pieno, raccogliendo grandi risultati quasi ovunque.

Se, come detto, giunse alla Mens Sana tra i mugugni di molti, vi si accomiatò tre anni dopo osannato e, ancor più, amato.

Eccezion fatta per l'amara stagione '91/'92, quella di Kornet, Jenkins e dell'ostracismo verso Solfrini, il suo operato a Siena ha dell'incredibile. Non solo per i risultati (due promozioni consecutive), ma anche per l'aver restituito un rinnovato orgoglio alla gente biancoverde e il piacere di tornare a seguire la squadra in ogni palasport della penisola.

Questo per non parlare dei giocatori, messi in grado di raggiungere, seppur tra urla, rimbrotti, digiuni e scale, risultati corali e personali di livello.

Sì, perché come dicono i suoi ex collaboratori, la conoscenza di ogni aspetto e dettaglio del gioco posseduta da Lombardi era sconfinata e irraggiungibile.

Rimangono nella storia mensanina due rompicapo chiamati difesa “multipla” e “simile”, che venti anni prima del sistema meraviglioso concepito da Banchi e Pianigiani e messo in atto da Eze, McIntyre, Kaukenas, Sato e Stonerook, permetteva alla Ticino di “tirare giù il bandone” difensivo e decidere le partite.

Dado rappresentava la Mens Sana, i suoi giocatori e i tifosi e credo sinceramente che ognun di loro fosse contento di esserne rappresentato.

Anche perché il primo scudo di protezione dagli attacchi degli altri era lui. Il parafulmine su cui indirizzare gli sguardi, la disapprovazione, la critica, i fischi, l'invettiva.

Antitetico al culto dell'immagine di sé, in piedi tra la linea laterale e la panchina, vociante, gesticolante, sempre iperattivo e presente, talvolta scamiciato e rubizzo, dopo un'iniziale diffidenza gli appassionati biancoverdi riconobbero in lui un uomo sanguigno e appassionato. Uno di loro.

Non può essere lo stesso sentimento che provavano i giocatori, questo è certo, ma non si va in campo come si va al ristorante tra amici. Si va in campo per vincere: solo per quello. E sul parquet non vi è altro modo che farlo da squadra.

A rimarcarlo, una frase dello stesso Lombardi, il primo e più determinato a volerlo fare: vincere!

Parole che alcuni dei “suoi” hanno sentito a sfinimento nello spogliatoio: “Se tutti voi mi odiate, avete qualcosa in comune: siete già una squadra!”.

 

 

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