venerdì 21 agosto 2020

Dieci motivi per cui per la Mens Sana la Silver è meglio della Serie D

Non sarà e non è come quando nell'estate 2002 l'Eurolega annunciò il "ripescaggio" della Mens Sana al posto di Cantù, ma dopo 18 anni e un'infinità di acqua passata sotto i ponti oggi gli orizzonti nuovi, e più luminosi, arrivano del comunicato con cui la Federazione ha annunciato l'inclusione della Mens Sana in Serie C Silver, sulla scia di un'evidente considerazione dimostrata quest'estate dal Comitato Regionale. Dopo la mancata conclusione dello scorso campionato di Promozione, anche la Serie D sarebbe stata un ripescaggio in una categoria non conquistata sul campo. Ma la Silver è meglio. Per almeno dieci motivi.  

Perché è un livello superiore. 
Ci sarà un motivo se la Silver è l'obiettivo di chi gioca (per vincere) la Serie D. Ci sarà un motivo se in Serie D si gioca per essere promossi in Silver. Ci sarà un motivo se la Silver è il premio per chi vince la Serie D. Il motivo è che la Silver è il livello superiore rispetto alla Serie D. Sarà banale, ma non si può che partire da qui per dire perché poter fare la Silver è meglio della D. Basterebbe questo.   

Perché la squadra è già fatta.
Proprio alla luce del doppio binario dell'estate, uno verso la Serie D e uno verso la Serie C Silver, Riccardo Caliani e Pierfrancesco Binella hanno pensato una costruzione di squadra che, al di là di uno o due elementi, e naturalmente con obiettivi diversi a seconda della categoria, potesse andare bene in entrambi gli scenari. Così dice chi se ne intende e comunque questa è stata la logica di lavoro. Avendo saputo muoversi prima, adesso trovarsi a fare un campionato superiore, oltre ad avere costi più o meno paragonabili, non richiede neanche di sconfessare le scelte fatte o di rimettere mano alla squadra. La squadra è già fatta. E nonostante il cambio di categoria può restare quella.   
 
Perché ci si può permettere.
In ordine di importanza potrebbe essere la prima motivazione. Sempre il passo lungo quanto la gamba, è il mantra (anche) di questa nuova ripartenza. La lunghezza della gamba della Mens Sana di oggi alla Serie C Silver ci arriva. Non si parla dei 300-350mila euro che ci vogliono per una stagione di Serie B o i 200-250 mila euro per una Serie C Gold, per un campionato di medio livello di una società con costi molto alti (soprattutto di impianto) come la Mens Sana. Tra la Serie D e la Serie C Silver balla invece una differenza di risorse necessarie, a parità di squadra, di 10-15 mila euro, più o meno un decimo di quanto comunque speso l'anno scorso per fare la Promozione: una differenza affrontabile, legata per lo più al diverso ammontare di parametri e tasse federali, e infatti affrontata senza timori, nel momento in cui la Mens Sana si è detta disponibile a una chiamata in Silver, perché sapeva di poterci arrivare. La copertura della stagione è alla portata. Un passo lungo quanto la gamba. 
 
Perché accelera la risalita.
Se non si immagina un futuro eterno nei campionati regionali, se c'è una visione per la Mens Sana del domani che la colloca auspicabilmente altrove nella geografia dei campionati di basket, se l'obiettivo di medio-lungo termine è immaginare una risalita ad altri livelli (basta dire "non sono più i tempi dell'Eurolega", più modestamente e realisticamente si parla della dimensione storica che la Mens Sana ha sempre avuto: un posto in uno dei primi tre campionati nazionali) fare la Serie C Silver invece della Serie D significa accelerare la risalita di un passaggio. Se economicamente sostenibile (vedi punto precedente), che problema c'è? Piuttosto è un'opportunità. E non è neanche il salto di un gradino formativo necessario che poi pregiudica l'intera scelta, per una realtà che sin dalla sua nascita l'anno scorso a livello organizzativo ha provato pur essendo in Promozione a "pensare più grande" di quello che era, proprio per farsi trovare pronta a scalare il proprio modello societario e tecnico anche quei livelli superiori con cui un giorno aspirava di confrontarsi. 
 
Perché stimola l'ambiente.
Gli 800 spettatori in Promozione, con punte di 1000, che nei playoff sarebbero stati almeno 1200 - ripetiamo insieme: "in-Pro-mo-zio-ne" -, sono un patrimonio all'altezza della tradizione della Mens Sana. Ma anche darlo per scontato sarebbe sbagliato. Il credito di fiducia concesso, o forse il credito sentimentale, è un investimento emotivo che si rafforza se trova la sua gratificazione. "Sempre insieme a te": i duri e puri ci saranno sempre per principio, l'attaccamento e la lealtà non sono in discussione, ma poi vogliono anche il loro sfogo, altrimenti fisiologicamente qualcuno si perde per strada, e la voglia media di crederci scema, e diventa meno facile autoconvincersi che ne valga la pena, se si resta sempre lì. Per farla breve: difficile che i numeri sarebbero rimasti gli stessi facendo un altro anno in Promozione. E non sarebbe stato banale confermarli neanche in Serie D, percepita come uno scontato step successivo, magari anche mortificato dal guardare in su e vedere quanti step mancano ancora, nonostante tutto. La Silver non sarà l'Eurolega (oh... si torna sempre lì #chiodofisso), a voler puntualizzare ormai anche la Serie A vive di brani di basket difficili da accettare se vogliamo parlare di estetica (figuriamoci sotto la Serie A). Ma simbolicamente è un'altra cosa, il doppio salto ha per forza di cose una percezione diversa. Chiamarla gratificazione è eccessivo, ma sicuramente è uno stimolo - che altrimenti non ci sarebbe stato - per un ambiente che ha un bisogno vitale di stimoli per tenere viva la fiamma.  
 
Per tornare nel mondo reale.
L'alternativa dell'estate era fare la Serie D per vincerla più o meno per forza (e se poi non la vincevi?!) o fare la Silver per giocarsela (per salvarsi? per stare tranquilli? per salvarsi tranquillamente? si vedrà). E' un bene essere usciti dal meccanismo malato per cui si fanno solo i campionati per vincerli. Aveva senso per la Serie B nel 2014-15 per tenere carico l'ambiente che ne aveva bisogno dopo il fallimento e l'era da cui veniva. E in un certo senso per gli stessi motivi poteva avere senso l'anno scorso. Ma il mondo reale è diverso. Nel mondo reale vince uno solo e gli altri 15 no, e non si può sempre essere quell'uno che vince: darlo per scontato, e pensare che il proprio posto nel mondo sia solo quello, non è sport. Anche perché quest'idea nasce da una malintesa interpretazione dello spirito mensanino per cui se sei la Mens Sana devi affrontare un campionato per vincerlo. In realtà è stato così solo per un gaudioso decennio di disumano cannibalismo, ben al di fuori della traiettoria di una storia fatta invece per più di 60 anni di una gloriosa normalità, in cui a volte si è vinto, a volte si è perso, come tutti. Rinunciare a un campionato superiore e preferirne uno inferiore per vincerlo può avere senso una tantum, poi inizia ad assomigliare a una perversione contro natura. 
 
Per poter lavorare sul progetto tecnico.
Il risultato conta sempre, non si gioca mai per perdere. E certo all'alzarsi del livello tecnico le difficoltà aumentano, mica diminuiscono. Ma affrontare un campionato contemplando la possibilità della sconfitta, come sarà per la Silver, è diverso da affrontarne uno in cui non si può sbagliare una singola partita, come ha finito per diventare l'anno scorso la Promozione e come rischiava di essere quest'anno la Serie D. Giocare un campionato per vincerlo porta con sé un margine d'errore molto inferiore, con quel che ne consegue a livello tecnico sull'organico. Per questo la squadra dell'anno scorso ha finito per appoggiarsi molto sull'usato sicuro, su ragazzi di categoria superiore e spesso anche d'esperienza, in una stagione in cui il filone tecnico dello sviluppo dei giocatori più giovani, soprattutto quelli delle proprie giovanili, si è riusciti a concretizzarlo sicuramente nel lavoro settimanale, con un maestro di basket come Pierfrancesco Binella, trovando in partita tutte le difficoltà del caso. Un diverso rapporto col risultato offre la possibilità adesso di investire tempo ed energie nervose secondo priorità diverse. Non sono tutti Pannini e non tutte le annate magari offrono ragazzi da poter lanciare, ma storicamente buttarne qualcuno in campo in prima squadra e responsabilizzarlo, anche permettendogli di sbagliare come si può fare in un campionato non da vincere per forza, ha una forza particolare nel cementare l'identificazione dell'ambiente con la squadra, oltre a coronare il lavoro tecnico di semina per il futuro, già ben avviato. 
 
Per poter lavorare fuori dal campo. 
A scanso di equivoci, nessuno dice che sia una categoria da affrontare sotto gamba e che non richieda il massimo impegno. Ma è un fatto che di base un campionato da dover vincere per forza porta con sé un carico di stress, tensione ed energie nervose non paragonabile. E vale allo stesso modo fuori dal campo. I campionati vinti nascono anche in società, costruendo ogni occasione di guadagno marginale col lavoro organizzativo, mettendo tutti in condizione di rendere al meglio, apportando correttivi, tenendo alta l'attenzione, e la tensione, con una dedizione costante mirata al risultato. Uno sforzo enorme, che ora potrà essere in parte redistribuito non dovendo affrontare una stagione con l'obbligo di vincere. E' un bisogno della Mens Sana che nella quotidianità di Riccardo Caliani l'attenzione all'area tecnica, comunque necessaria e doverosa, lasci sempre più spazio a un altro tipo di lavoro: oltre al presente da curare, c'è un futuro da costruire. Quello che si potrà permettere di essere la Mens Sana dal 1° luglio 2021 si costruisce oggi, domani, dopodomani e per i prossimi dieci mesi: ogni giorno durante la stagione è buono per lavorare a quello, ai rapporti con i partner storici, alla ricerca di nuovi, alle iniziative, alla costruzione commerciale di una tela di rapporti che possa essere la base di lungo termine per immaginare le fondamenta di un futuro più ambizioso e sostenibile. Tutti lavori già in corso, nessuno finora si è grattato la pancia, ma aumentano le possibilità che portino frutto se diventeranno la preoccupazione quasi esclusiva. Bisognerà volerlo, e impegnarcisi, ma una stagione da vivere in Silver, invece che da non fallire in Serie D, offre l'opportunità di farlo. 
 
Perché Siena ritroverà il derby.
Dopo aver accarezzato l'idea di un ripescaggio in Gold, la decisione del Costone di rimanere in Silver sommata all'arrivo della Mens Sana restituisce ai canestri senesi il derby più sentito. Senza snobbare la Virtus con cui non manca il pepe, la rivalità tra Costone e Mens Sana è la più ancestrale e radicata anche a decenni dalla sua nascita, vissuta in maniera totale dall'ambiente gialloverde, perpetuata anche in decenni di grande distanza tecnica tra le due realtà e dichiarata senza nascondersi anche dai più storici dei tifosi biancoverdi. Al di là del livello tecnico, sarà una stagione gustosa anche per questo, un lungo duello a distanza che vivrà il suo culmine nel doppio scontro diretto che riempirà i palazzetti senesi e tornerà a vivere per la prima volta dopo le due sfide che nel 1966-67 in Serie C cambiarono per sempre le sorti del basket senese, una storia dai contorni mitologici di cui non mancherà occasione di riparlare.   
 
Perché le rivalità fanno bene.
Non è il pensiero unico a infiammare le passioni, ma l'antagonismo, le appartenenze, le identità. E' un patrimonio averne tre a Siena. E per riaccendere le passioni non c'è niente di più potente di una rivalità cittadina. Rintuzzarla sicuramente farà bene alla Mens Sana, che ha un fuoco da far ripartire. E farà bene al Costone per riaffermare il suo ruolo storico nel basket cittadino. Che sia la rinascita del basket senese. Lasciatecelo sperare.

 
 

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