lunedì 23 aprile 2018

Scendono le luci

Ultimo giorno di scuola, ci si rivede l'anno prossimo (quadri di fine anno permettendo - quelli finanziari - ma questo è un altro discorso, per altre giornate). Serve un minimo di consapevolezza della situazione per realizzare che il finale con Tortona è stato forse la soluzione migliore: chiudere con un successo, perché finire così è sempre meglio, ma comunque chiuderla qui, perché le scorse settimane dimostrano che la squadra in molti elementi chiave ci credeva, ma di questa travagliata, intensa, romanzesca e romanzata, durissima stagione ne avevano tutti abbastanza.

Finisce così, con 6 vittorie nelle ultime 9 partite (e le tre sconfitte di questi ultimi due mesi e mezzo con 15 punti di scarto complessivo), che restano come testamento inconfutabile di un finale in crescendo per dire che, per quanto ben distante dai proclami estivi, una strada si era trovata. Finisce con 14 vittorie e 16 sconfitte come l'anno scorso, con una squadra ben diversa per le finanze da cui era nata e per le figurine messe insieme, ma sicuramente costruita peggio. Finisce col bilancio di 12 vittorie e 13 sconfitte con Matteo Mecacci, che ha dimostrato se può o meno essere un capo-allenatore in Serie A2 (su questo ci sarà in modo di argomentare con calma).

A meno che non sia maturata una convinzione totale sulla figura del coach, più decisa di quella che in momenti roventi della stagione ha portato più volte a sondaggi importanti con altri tecnici di nome, a questo punto la logica suggerirebbe alle parti che sono maturi i tempi perché Mecacci dimostri altrove se è o meno da A2. Anche perché per chiunque ne faccia una professione, non un dopolavoro - e vale per chiunque a ogni livello in società, dallo staff dirigenziale a quello tecnico -, continuare a lavorare nella propria città può essere la congiuntura favorevole di qualche anno, ma alla lunga diventa un limite se significa non aprirsi ad altre esperienze e opportunità professionali.

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Finisce con un ritorno da 8 vittorie e 7 sconfitte, e ha senso ricordare che 4 di queste sconfitte (Casale, Napoli, Eurobasket, Virtus Roma) sono arrivate con uno scarto complessivo di 6 punti. Comunque 8-6 dopo l'arrivo di Kyzlink che è stato la vera svolta della stagione (e averlo scovato è un elemento che contribuisce alla valutazione di Mecacci): questo passo, se spalmato sull'intera stagione, avrebbe significato più o meno il quinto posto. E chissà cosa sarebbe potuto essere se fosse arrivato il centro promesso, e non sarebbe stato un delitto riconoscere che alla fine si è rinunciato a prenderlo per attenzione ai conti in difficoltà (è oltretutto la versione più conveniente, se le spiegazioni alternative sono l'incuria o l'incapacità).

Senza dimenticare da dove si veniva (un'organizzazione societaria tuttaltro che professionale e soprattutto il rischio molto reale di un nuovo fallimento, un anno fa), senza voler dare per scontato gli affatto scontati tentativi di costruire qualcosa, senza voler mortificare la dedizione di chi ha vissuto un anno lavorativo infernale, è stata una stagione in cui - detto con affetto - si è sbagliato quasi tutto quello che si poteva sbagliare. A livello sportivo, comunicativo, gestionale. Perché non sia stato per niente, vuol dire anche - cum grano salis - essersi dati uno sproposito di elementi che possono fare da lezione per non ripetere gli stessi errori, a patto di averne avuto consapevolezza.

Sviscerarli tutti sarebbe crudele, e perderebbe costruttività se trasformato in un pubblico processo, dare le bacchettate sulle mani come nelle scuole di decenni fa serve il giusto, ma un punto di partenza necessario delle lezioni di cui far tesoro è il rispetto dei ruoli, anche in termini di funzionale ripartizione dei compiti. Per esempio, per partire dai fondamentali, è bene chiarire che in un posto in cui si vuole fare basket per bene la squadra la fa il direttore sportivo in accordo col coach, in modo che le responsabilità siano chiare, di chi ha costruito la squadra e di chi la deve far giocare.

Al limite anche lo scenario (rivisto) in cui la squadra la fa il coach ha il difetto di creare confusione di responsabilità, ma è sempre meglio che far costruire a chi, pur avendo ruoli apicali in società, ha invece competenze diverse. Per questo la voglia, interessante, di iniziare prima possibile a lavorare sulla prossima stagione, già in questi giorni, diventerebbe un nuovo peccato originale se significasse farlo senza avere ancora un allenatore. Che, in un posto in cui si vuole fare basket per bene, deve invece essere sempre la figura centrale del progetto (ruolo che a suo tempo a Griccioli, per capirsi, non è mai stato riconosciuto).

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Il passo è breve per ragionare sulla corretta ripartizione di responsabilità e competenze tra direttore sportivo e general manager. Poche società a questo livello hanno la fortuna, e la possibilità, anche un po' sovradimensionata per l'A2, di darsi un'organizzazione così strutturata da avere entrambe queste figure, più il presidente. In un mondo ideale: un direttore sportivo col compito di portare conoscenza dei giocatori e del mercato, di supporto e di filtro per lo staff tecnico con cui avere una dialettica costruttiva; il general manager con il ruolo di hub centrale attorno a cui ruotano tutti i dipartimenti della società, a cui spetta l'ultima parola se c'è bisogno, ma sempre nel rispetto delle competenze settoriali di chi si occupa solo del proprio ambito.

Poter essere così strutturati perde senso, anzi diventa disfunzionale, e quindi dannoso, se ci sono sovrapposizioni. Lavorare insieme non significa occuparsi delle stesse cose, ma contribuire ognuno al proprio livello gerarchico alle scelte migliori. Per questo è auspicabile che si colga la necessità, dopo l'anno speso a conoscersi, di registrare meglio le reciproche competenze di Filippo Macchi come g.m. e Lorenzo Marruganti come d.s.: al di là di ogni bel discorso, ci si può tarare solo sul campo della vita societaria di tutti i giorni, ma è necessario farne oggetto di riflessione anche a tavolino.

Un g.m. molto sbilanciato sulla parte sportiva renderebbe ridondante la figura del d.s., per quanto a un livello di competenza diverso; un d.s. nel pieno delle sue funzioni, quindi con l'onore ma anche onere di maggiori responsabilità decisionali, viceversa sarebbe possibile solo con un passo indietro del g.m. nella quotidianità della parte sportiva. Per quanto più comoda forse per entrambi, qualsiasi altra soluzione che sta in mezzo - utile e forse necessaria nell'anno appena trascorso, che è stato di comprensibile transizione - crea una strozzatura. Che può sembrare una cosa da poco e non così cruciale, ma se avviene sull'asse centrale della gestione della società, con possibili ricadute su tutto il resto, amplifica il rischio di uno spreco di risorse, di potenziale fonte di equivoci interni o esterni e di un imbuto disfunzionale nei processi di valutazione e decisione.

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Poi ogni osservazione di questo tipo è parametrata sugli equilibri di una stagione in cui la chiusura del triangolo era Francesco Bertoletti da amministratore delegato, ma che inevitabilmente cambieranno - e siamo tutti in attesa di capire come, ma è presto - ora che la terza figura di riferimento è Massimo Macchi, nelle ultime due settimane presenza assidua nella quotidianità della società.

Non che il problema fosse Bertoletti, ma il primo auspicio sull'avvicinamento "fisico" del presidente è che averlo operativo possa aiutare - per competenze, contatti e doti manageriali - a normalizzare piuttosto la situazione fuori dal campo, che sul piano economico nella seconda parte di stagione non è stata normale affatto: il fatto che non se ne parli non vuol dire che tutto sia tornato magicamente a posto, e l'unica criticità emersa sui media - quella degli stipendi dei giocatori - è forse quella di minore sofferenza, e solo la ragion di stato dei tanti soggetti coinvolti ha impedito che la portata divenisse palese a tutti.

Si dice normalmente che finita una stagione è virtuoso cominciare a pianificare con largo anticipo la parte sportiva della stagione successiva. In questo caso forse è più doveroso aspettarsi che finito il basket la vera urgenza, senza allarmismi ma con realismo, si sposti fuori dal campo, nella gestione economica del club. Perché la necessità di una migliore programmazione finanziaria è un'altra lezione sicuramente appresa da quest'annata. Se fuori dal campo si riuscisse a chiudere in maniera accettabile questa stagione, ci sarebbero forse anche motivi per guardare con un certo ottimismo alla prossima. Ma chiuderla bene, a oggi, non sembra banale. Si dice da mesi, ma vale ancora: buon lavoro.




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