domenica 29 luglio 2018

Come è stata pensata la nuova Mens Sana

L'atipicità non come un limite ma un vantaggio, normalmente vissuta come un punto di forza da chi non si può permettere un certo tipo di roster. La Mens Sana si ritroverà "dopo il Palio" (cit.), il 17 agosto, e dal pomeriggio del 20 comincerà a formare sul campo il proprio valore per capire quali sono le distanze da Tortona, da Scafati, dalle due romane, dalle altre due piemontesi... La scelta di puntare per i primi sei-sette uomini delle rotazioni su giocatori che hanno già esperienza in categoria (o in Europa, parlando di Morais) ha l'obiettivo di accorciare i tempi di costruzione di un gruppo che parte da zero, sarà la palestra a formarlo, e per questo non è facile da decifrare solo vedendo sulla carta le figurine una accanto all'altra. Ma a oggi su questo si ragiona. Sul resto si possono fare delle congetture, proviamo a farlo con un minimo di fondamento.

“L’idea è che avremo nove giocatori nelle rotazioni: cinque ali e quattro guardie. Le cinque ali copriranno i ruoli dal 3 al 5, le quattro guardie quelli dell’1 e del 2 e, in caso di esigenza tattica anche il terzo ruolo sul perimetro. Il nostro complesso difensivo dovrà essere solido. La base sulla quale costruire la nostra stagione. Il dna difensivo del gruppo è una caratteristica cercata in ogni giocatore firmato e sarà il marchio di fabbrica della squadra. Secondo la mia visione, la squadra cercherà di attaccare sempre nei primi otto secondi dell’azione per trovare canestri facili prima che la squadra avversaria completi il suo schieramento; e quando questo non sarà possibile, a metà campo infine avremo alcuni punti di forza che dovremo costruire grazie alle letture dei vantaggi che avremo in quel momento sul campo”.
- Paolo Moretti, 25 luglio 2018


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Più che nell'ala piccola, la vera scelta di atipicità del mercato della Mens Sana è stata quella di rinunciare a un centro di ruolo, affiancando due lunghi come Mitch Poletti e AJ Pacher. L'atipicità nell'atipicità è che se nessuno dei due ha caratteristiche da centro classico (come in verità non ce ne sono molti in A2), entrambi hanno in effetti dimostrato di essere più incisivi ed efficaci giocando da centro atipico che da secondo lungo: impiegarli insieme potrebbe significare non riuscire a sfruttare al meglio uno dei due. Oppure, al contrario, mettere in campo un mix di doti tecniche senza risposta per le avversarie: magari dal lavoro in palestra può nascere una chimica perfino più letale di quella degli incastri naturali.

Atipicità nell'atipicità nell'atipicità: vedi Tommaso Marino come prima pietra della nuova squadra e pensi a un lungo verticale e atletico come soluzione ideale per giocare a due con lui... E invece la scelta (non dettata da un mercato fatto sostanzialmente solo con due agenzie di procuratori o poco più, ma voluta) è stata avere quattro lunghi - compreso ovviamente Ion Lupusor, ma anche Janko Cepic - capaci di portare bidimensionalità, che possano attaccare sia fronte che spalle a canestro, sia allargandosi che tagliando verso il canestro sui giochi a due. Anche perché capiterà più del solito di non vedere necessariamente Marino col pallone in mano, ma piuttosto con un altro trattatore di palla di fianco.

Perché la rinuncia al centro di ruolo è stata mirata ad avere una quarta guardia in grado di giocare da play (Marino, Sanguinetti, Prandin, Morais), per essere una squadra che non aspetta, prendendo l'iniziativa in difesa. E' Bobo Prandin, apprezzato per la sua capacità di cambiare le partite pur non segnando 20 punti, l'innesco che rende naturale l'abbassamento del quintetto per cui questa squadra sembra costruita apposta, con Carlos Morais ala piccola e Alex Ranuzzi ala forte atipica (come può essere Todor Radonjic), attorno a uno solo tra Pacher e Poletti.

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La duttilità dei giocatori, praticamente tutti capaci di giocare in più posizioni, è funzionale alla volontà di cercare, anche uomo contro uomo, quei vantaggi attorno a cui si vuole costruire il sistema a metà campo. Potranno esserci difficoltà contro certe tipologie di "4" e di "5", ma si è concepita la squadra pensando di poter a propria volta far pagare anche gli avversari con le diverse caratteristiche dei propri "4" e "5". E se nel roster non si vede il classico tiratore specialista, la squadra è stata anche voluta in modo che non ci siano giocatori che possano essere battezzabili a prescindere, tutti con un perché dal perimetro.

Ci si poteva aspettare che la guardia a chiusura del roster fosse un go-to guy. Dicono tutt'altro sia i nomi cercati sia la soluzione finale Carlos Morais, giocatore con grande forza nella parte alta del corpo (e un fisico - chiediamo venia per la bestemmia - un po' alla Alphonso Ford), utile anche quando si tratterà di saltare per un rimbalzo, capace in uno contro uno attaccando dal palleggio o in arresto a tiro, tiratore piedi a terra, anche se usa i blocchi soprattutto per innescare giochi a due, da risolvere poi col proprio campionario tecnico, fatto di finte e ricerca degli angoli e dei tempi giusti, più che con la rapidità di esecuzione.

Il prodotto finale uscito dal mercato dice che non si sono voluti né cercati risolutori di talento da cui andare quando serve un canestro, gente da 20-25 tiri a partita, distribuendo la qualità su più giocatori nella convinzione di Paolo Moretti che nei possessi decisivi sia più importante saper condividere la palla per arrivare a un buon tiro, piuttosto che risolvere col talento di un singolo. Non che di proposito si sia voluto rinunciare al talento, ma si è privilegiata la personalità, questa sì sicuramente diffusa, nella convinzione di quanto sia questa a fare la differenza non solo quando scotta il pallone ma anche di default a un livello di basket (l'A2) in cui contano la tecnica e la tattica, ma anche molto il carattere.

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Chiedersi quanti punti nelle mani abbia questa squadra è la premessa per chiedersi quanto avrà bisogno della difesa per essere competitiva. Il mantra "attaccare sempre nei primi otto secondi dell'azione per trovare canestri facili" rende evidente quanto il coach punti sull'attacco in campo aperto: per quanto si possa correre anche da canestro subito, sembra sinonimo di dire che dovrà essere la difesa ad accendere l'attacco. Nelle stime del coach sono almeno sei, sui nove giocatori della rotazione, quelli con spiccate qualità difensive. Magari. Di certo se spendersi in difesa costerà qualcosa in termini di lucidità in attacco, non si farà niente per invertire i fattori.

L'altra componente di una squadra che gioca di corsa è quella atletica. E' un dato di fatto che i lunghi di questa squadra sono molto dinamici e normalmente sono loro quelli che devono fare più fatica, non solo per la mole ma anche per la superficie di campo da coprire. Oltre a questo, l'idea con cui è stata costruita la squadra è che correre dipenda più dall'abitudine e dal sistema che, ad esempio, dall'età. Che c'è: dei primi sei giocatori della rotazione, l'unico sotto i 30 anni è Pacher (26). I 30 sono quelli di Poletti, Ranuzzi quasi 32, Marino e Prandin 32, Morais quasi 33.

Ma l'esperienza si sposa non solo con la citata personalità. Si sposa anche con il mestiere che può aiutare ad accorciare i tempi di amalgama di un sistema nuovo per dieci giocatori su dieci (undici su undici, dodici su dodici) più l'allenatore e il vice, e questo avrà un peso. Si sposa infine con la solidità ricercata da chi, piuttosto che rischiare voli pindarici inseguendo equilibri difficili o potenziale che potrebbe non esplodere mai, ha bisogno di certezze a fronte di una stagione che in campo parte dal -3 in classifica e in cui potrà servire gente coi nervi saldi.

Tornare a parlare di basket manca come l'aria.



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