martedì 13 novembre 2018

#unoasettimana Ion Lupusor, il licantropo del parquet

Fra i grandi temi ricorrenti nella letteratura antica ce n’è uno che fin dal principio ha avuto un posto di rilievo assoluto nella hit parade delle scelte autoriali, quello delle metamorfosi. Le storie di metamorfosi devono piacere anche a Ion Lupusor.

Sentirsi qualcuno ma essere nel corpo di un altro è una delle suggestioni che da sempre attrae lo scrittore come un goloso che posa gli occhi su una Sacher appena glassata: si comincia con i miti dell’antica Grecia, poi Ovidio e Apuleio, fino ad arrivare all’inarrivabile Kafka e al suo più che visionario Gregor Samsa (che una bella mattina vede bene di risvegliarsi scarafaggio). C’è qualcosa in quelle storie che non ci fa staccare gli occhi, forse perché siamo spinti ad immaginare come sarebbe la nostra vita se non fossimo più, per un istante, ciò che siamo.

E poi c'è Ion Lupusor. Nato con i centimetri di un centro e un corpo da ala grande, spesso, grazie alle sue manine soffici e delicate, si trasforma in una guardia abbandonando il regno del pitturato e spingendosi verso le lande desolate fuori dall’arco dei tre punti. Una metamorfosi questa che disorienta l’avversario e può diventare un’arma tattica più letale del colpo di coda di uno scorpione.

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In tasca ha il passaporto italiano, ma Ion nasce nel 1996 a Dusmani, nel nord ovest della Moldavia, un comune di poco più di 2000 anime nel distretto di Glodeni, dove gli unici passatempi delle famiglie erano contemplare le vestigia dell’ex URSS e giocare a pallacanestro. Per fortuna suo padre è bravo nella seconda e, dopo il trasferimento al calduccio del Bel Paese, trasmette la passione anche al figlio che non tarda a raccogliere il testimone e a mettere a frutto il suo talento.

Si inizia dalle giovanili di Reggio Calabria, compagine con cui esordisce tra i ‘grandi’ nella stagione 2014/15 quando ancora non ha l’età per la patente, a 17 anni e spiccioli. Alla Viola rimane fino al 2017, e sono anni d’oro quelli, visto che coincidono con la vittoria del torneo di Mannheim nel 2014 con la Nazionale Under 18 (storica la vittoria in finale contro i pari età statunitensi con un Mussini da leccarsi i baffi) e con la partecipazione al mondiale Under 19 insieme alla truppa azzurra allenata da Capobianco.

Se il pellegrino di YouTube si imbatte per caso nei suoi highlights di quella competizione, noterà che pochi sono i movimenti in post basso del ragazzo, molti e di varia tipologia invece i movimenti di palleggio-arresto-tiro e molte le conclusioni dalla distanza, non solo nella tipica situazione pick and pop con il lungo che si apre, ma anche spaziando per il campo con soluzioni appositamente costruite per quella che, se fossimo scout professionisti, chiameremmo una sua skill, e che invece noi chiamiamo solo abilità. Nota per i patiti di numeri e statistiche: Lupusor chiuderà il Mondiale in doppia cifra per punti realizzati, 10 tondi tondi, l’Italia invece arriverà sesta.

Dopo Reggio l’approdo a Scafati e poi a Roseto, dove avviene la definitiva consacrazione: Ion alza di due tacche l’asticella e fa schizzare in alto tutto le voci compongono il suo tabellino, anche quella che rimane la più carente (anche oggi) e si trova sotto la categoria “rimbalzi”; il suo nome, che già circola tra gli addetti ai lavori, inizia a comparire su più di un taccuino importante.

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Lupusor, nome parlante se ce n’è uno, richiama anche un altro mito di metamorfosi, famosissimo, da cui il cinema ha attinto a piene mani: è la leggenda del licantropo, l’uomo lupo, che ad ogni plenilunio si trasforma e va in giro terrorizzando i malcapitati che si imbattono in lui, poco importa se sono uomini o galline. Una delle caratteristiche del lupo/licantropo è la sua struttura potente, muscolare. Forse, tra le varie metamorfosi di cui è capace, Ion dovrebbe scegliere un po’ di più tale versione, perché è proprio sotto questo aspetto che il suo gioco denuncia carenze ancora da colmare. Infatti, se la sua leggerezza svolazzante è spesso un pregio, talvolta in un torneo spigoloso e rude come l’A2 servirebbe qualche grammo di fibra rossa in più da buttare sul campo: più sciabola e meno fioretto, tanto per intenderci.

Ma il ragazzo ha un talento raro, e soprattutto nel suo vocabolario c’è una parola che torna spesso, come un mantra: lavoro. Con un’impostazione così, difficilmente si fa un buco nell’acqua. Il suo trasferimento alla Mens Sana può rappresentare il vero esame di maturità cestistica, a patto di saper mettere a frutto ogni singolo istante passato in palestra, lavorando come un’alchimista in cerca della formula giusta per la pietra filosofale.

In molti, ed in particolare Moretti, sono convinti che la strada intrapresa sia quella giusta: la prossima metamorfosi sarà quella definitiva, e farà di Lupusor un giocatore completo.



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