Un filo biancoverde lungo venti anni, e passato di mano in mano da una passione che attraversa le generazioni, unisce lo scudetto del 2004, con tutto quello che ha significato per Siena, alla Mens Sana del 2024. Ospitiamo con piacere il ricordo di quel giorno per come l'ha vissuto il capitano di oggi, Edoardo Pannini.
I ricordi nitidi di quando avevo 4-5 anni si possono contare sulle dita della mano e uno di questi è senz'altro il pomeriggio del 5 Giugno 2004.
Avevo appunto 4 anni e mezzo e mi ricordo molto bene che mio babbo non se la sentiva di farmi venire nel palazzetto con tutta la gente che c'era e a ripensarci non mi sento di criticare questa scelta visto che avrebbe dovuto controllarmi invece che godersi a pieno una giornata storica.
Decise quindi di lasciarmi a casa dei nonni che stavano nella Strada di Marciano quindi sopra al palazzetto e lì ricordo benissimo di aver seguito alla tv la partita insieme a mio Nonno Lino esultando ad ogni canestro come se fosse un gol.
Non ricordo né il prima né il dopo ma se ripenso al momento della sirena finale sembra sia passata al massimo una settimana, con l'esultanza nel corridoio della casa come se avessi vinto io, ma la realtà è che quel giorno abbiamo vinto tutti noi senesi e da lì sarebbe iniziato un periodo straordinario per la nostra città a livello sportivo.
Certo essere dentro al palazzetto con tutta la festa che c'è stata sarebbe stato bellissimo, ma pensare che il primo scudetto l'ho vissuto insieme a mio nonno che oggi non c'è più mi fa ricordare con ancora più piacere quel caldo pomeriggio di 20 anni fa.
Edoardo Pannini
Aggiungere qualcosa alle tante manifestazioni e testimonianze delle scorse ore potrebbe sembrare impossibile, eppure certi eventi sono come un palio vinto dopo lunghissimi anni di digiuno e amarezze e il celebrarli ripetutamente è un esercizio essenziale di vita che i senesi svolgono ritualmente, ma con enorme piacere.
Ognuno ha vissuto proprie emozioni e personalissime esperienze sensoriali e ricorda esattamente dov’era e con chi e appena si presenta l’occasione ne parla a ruota libera con orgoglio, con sempre rinvigorita partecipazione e più in là che si va con gli anni con una maggiore emozione.
E’ così che si tramanda la storia della gente che ha fatto una Contrada: a furia di raccontare.
Tanto che anche i giovanissimi conoscono dettagli che li fanno sentire parte in causa, quasi avessero vissuto in prima persona avvenimenti e fatti di molti decenni prima.
La storia tramandata dunque non è esattamente di chi l’ha vissuta ma diventa esperienza comune e quando è così partecipata e sentita diviene patrimonio.
Diviene sentimento. Identità.
Genitori e nonni che la tramandano a figli e nipoti, nuore e generi, con l’implicita consegna di custodirla gelosamente e mostrarla con assoluto orgoglio, perché quelle sono le ricchezze della grande famiglia.
E con essa, sempre della storia si parla, salvo rare eccezioni si trasmette il gene che fa divenire istintivo incominciare a prendersi cura di quella dote che ci è stata consegnata. Quel gene è il DNA.
In ambito mensanino un esempio – ma altri potrei citarne – è quello della Famiglia Pannini, che col piccolissimo Lapo già presente al Palasport è all’ennesima generazione di appassionati.
Appassionati, e di che tinta!
Gabriele Grandi
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