Se non fosse che dopo undici giornate Ranuzzi tira 11/40 da tre, Udom 5/30. Sostanzialmente, ne mettono una su ogni quattro tentativi (il capitano) e una ogni sei (il numero 22). E da due? 28/60 Ranuzzi, 36/77 Udom; un po’ meglio, ma entrambi sotto la soglia del 50%. Trattandosi di ali piccole/ali grandi, cioè di gente che in teoria dovrebbe giocare più vicina a canestro, si potrebbe fare di meglio.
Piccola parentesi: ovviamente non contano solo i punti segnati e la percentuale di tiro. Ci sono anche tanti altri aspetti del gioco in cui entrambi sanno farsi valere con cifre ben più interessanti. Però è indubbio che su quelle percentuali di tiro gli avversari facciano delle scelte difensive ben precise.
Ma in carriera come sono andati? Ranuzzi lo scorso anno in B ha sfiorato il 40% di realizzazione dai 6,75. A Mantova e Castelletto Ticino stazionava attorno al 35%, a Ozzano ha avuto una stagione da 38% e una da 29%. Può fare di meglio, dunque, del 27% attuale, tanto più che nel sistema di quest’anno gli viene richiesto di essere uno specialista. Ma forse è proprio quello che non lo coinvolge a pieno.
Udom nella stagione ad Agrigento ha tirato 13/59 da tre punti. Siamo sempre lì, attorno a quell’1/6 che caratterizza anche il suo primo ‘vero’ campionato biancoverde. Quando la palla arriva nelle sue mani dietro la linea dei tre punti si aprono le acque del Mar Rosso. Continuare a prendere quel tiro largamente concesso? Se non si evita alla base il problema, evitando di fargli ricevere la palla in certe situazioni, è comunque l’unica soluzione per non far deragliare completamente un attacco che già per sua natura vive di alti e bassi.
Appare però inevitabile che la Mens Sana continui a soffrire da questo punto di vista. Fare i conti coi propri limiti significa anche trovare un modo per mascherarli, per evitare che chi c’è di fronte abbia sempre vita troppo facile a giocarci sopra.
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