sabato 20 dicembre 2014

Giulio Griccioli: i playoff, le radici, il sogno, lo stile

Se non fosse per le prime tre partite perse, con 4 vittorie nelle ultime 7 partite la Capo d’Orlando di Giulio Griccioli – all’esordio da capo-allenatore in Serie A – avrebbe una media da playoff. Il tutto nonostante gli infortuni, il buco nell’acqua con la stella designata Flynn che non c’è più e un organico che non pareva così competitivo (sicuramente a me, ma mi pareva opinione diffusa).

Come altri ex mensanini, forse di più in quanto unico senese in Serie A, sul blog avevo già parlato altre volte di Giulio Griccioli. Adesso è sotto i riflettori del basket nazionale, e non c’entra niente che sia solo dicembre (quando comunque ha già 8 punti di vantaggio sull’ultima in classifica), perché comunque se lo merita.  Riprendo qui alcuni stralci dell’intervista che gli ha fatto un collega e che è uscita ieri sulla Gazzetta dello Sport, con passaggi interessanti in chiave senese.

Griccioli, partiamo da lontano: la contrada del Nicchio.
«Le tre cose più importanti nella vita sono la famiglia, la contrada e la città. Chi è senese mi può capire. Nel Nicchio mio padre è stato priore. Per 10 anni ho fatto l’alfiere in Piazza del Campo. Queste sono le mie radici che mi porto dentro ovunque vada».
Lei è un prodotto della Mens Sana.
«Ho giocato e allenato alla Virtus Siena, poi nel 1998 sono passato alla Mens Sana. Settore giovanile, fin quando Dalmonte non mi ha inserito nello staff della prima squadra. Ho collaborato con Ataman, Recalcati e Frates. Sono stato il braccio destro ed erede di Pianigiani come responsabile delle giovanili. Ho attinto da tutti ma è innegabile che Simone e Luca Banchi siano quelli che più mi hanno influenzato professionalmente. E poi, anche se dirlo ora non è più di moda, devo molto pure a Ferdinando Minucci».
Siena era il top. Perché la lasciò?
«Ne parlai in modo franco con Minucci. Gli dissi che volevo andare altrove per diventare un allenatore in grado di poter, un giorno, sedere sulla panchina di Siena. Ora sono in Serie A, la Mens Sana non c’è più, ma il sogno rimane. Dovesse tornare ai vertici, mi piacerebbe allenare nella mia città».

In chiave senese, non credo non si possa apprezzare il valore dato alle proprie radici. Scherzo del destino, e lo dice, è stata la defaillance della Mens Sana – e di Montegranaro – ad aprirgli un posto in Serie A, col ripescaggio di Capo d’Orlando. Così come credo che non si possa non apprezzare il fatto che ci sia il sogno di allenare la Mens Sana, e la voglia di inseguirlo al meglio, dietro la sua partenza da Siena. E non si può non apprezzare il fatto che continui a considerare un sogno allenare la Mens Sana anche oggi che i destini sono così distanti (lui è in A, la Mens Sana quattro categorie più giù).

Considero una dimostrazione di spessore, forse da signore, spendere una parola per Minucci adesso: non solo per i destini opposti (g.m. non proprio in auge, Griccioli in A), ma anche perché c’è un clima per cui sembra quasi che a parlarne ci si sporchi. Farlo tempo fa, in contesti di adulazione galoppante, sarebbe stato di una banalità fastidiosa: oggi molto meno. E peraltro l’uscita di Griccioli da Siena non sembrò così gratificante (almeno alle impressioni esterne) come nella ricostruzione da lui fatta nell’intervista, tornarci su così mi pare sinonimo di un certo stile.


Naturalmente in città è stato un pretesto per tornare a provocarsi tra minucciani, anti-minucciani, post-minucciani. Vabbè. Io ci vedo un comportamento pubblico da uomo, senza evocare sindromi di Stoccolma o vederci complicità nella fine della Mens Sana. Peraltro parliamo di un uomo di basket che mi risulta essere stato molto ascoltato nel momento della ripartenza estiva sotto l’egida della Polisportiva. Abbastanza carne al fuoco per rimandare un altro tema che credo abbia un suo interesse, cioè la grande esposizione mediatica della Mens Sana, oggi che non è più in Serie A, mentre quando era al top c’era la lamentela contraria. Mi è caro, ne riparlerò.

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