lunedì 1 agosto 2016

Come nasce e cosa aggiunge al quadro la (mini)squalifica di sei ex mensanini

Resta forse solo l'ultimo capitolo, per niente marginale, quello relativo ai deferimenti dei dirigenti compresa l'ipotesi di revoca degli scudetti. Ma il corso della giustizia sportiva nei confronti della vecchia Mens Sana Basket ha messo altri importanti punti fermi chiudendo il conto coi tesserati, perseguendo chi dei giocatori inizialmente denunciati è ancora tesserato o ha legami con la Federazione (giocando in Nazionale). La sanzione dell'inibizione di 20 giorni - fino al 18 agosto - ad Aradori, Carraretto, Hackett, Michelori, Moss e Ress "per aver percepito, come da documentazione agli atti, elementi attivi non interamente dichiarati di redditi da lavoro dipendente" offre qualche elemento su cui ragionare, nello specifico e sul quadro d'insieme.

E' evidente che sia stato possibile procedere solo in virtù dell'esistenza delle carte di una Procura della Repubblica. Ma resta il fatto che una squalifica della giustizia cestistica per evasione fiscale è un caso più unico che raro (prima di Pianigiani era mai successo?). Non c'è bisogno di soffermarsi qui alcune osservazioni immediate, che vanno dalla particolarità della pena (senza fare i forcaioli, ma parliamo di 20 giorni fuori dall'attività agonistica, così come erano stati 30 per Pianigiani che in quel momento non stava lavorando), a una sua quantificazione non prevista da nessun regolamento (l'articolo 44 la prevede da tre mesi a tre anni), fino a chiedersi se la sanzione sarebbe stata la stessa se Hackett e Aradori si fossero qualificati per Rio con la Nazionale.

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Innanzi tutto le norme richiamate: i due articoli contestati del Codice Etico chiedono di "osservare, senza evasioni ed elusioni, e interpretare correttamente nel loro reale valore sia le leggi della Repubblica, sia tutti i regolamenti. I soggetti destinatari del Codice etico si impegnano a comportarsi sia nei rapporti agonistici, sia in quelli di natura amministrativa con la massima lealtà".

L'articolo 2 del Regolamento di Giustizia fa riferimento all' "obbligo di lealtà e correttezza", che significa "osservare scrupolosamente tutte le disposizioni che regolano l'esercizio e la partecipazione allo sport in generale ed alla pallacanestro in particolare; si oppongono, altresì, a ogni forma di illecito sportivo, frode sportiva, all’uso di sostanze e metodi vietati, alla violenza sia fisica che verbale e alla corruzione".

Infine l'articolo 44 del Regolamento di Giustizia, per chiudere sui punti contestati, prevede che "si applica l’inibizione da tre mesi a tre anni a chiunque, violando i principi di lealtà e correttezza, con azioni od omissioni volontarie, dirette o mediate, violi qualsiasi disposizione regolamentare  non diversamente sanzionata". Molte di queste parole, a una prima o al massimo a una seconda lettura, sono facili da interpretare.

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Con i dubbi che si porta dietro quanto a certezza del diritto, resta l'anomalia dell'entità della pena. Già vista in occasione della squalifica a Pianigiani, decisa da un collegio coincidente per due terzi con quello che ha giudicato ora questi sei giocatori. In queste più recenti sei sentenze si richiama l'articolo 107 per dire che si è "convenuta con il Procuratore Federale l'applicazione di una sanzioneL'accordo è sottoposto al collegio incaricato della decisione, che ne dichiara l'efficacia con apposita decisione". Una sorta di patteggiamento sportivo.

Nel caso di Pianigiani, a parziale spiegazione, fu richiamato invece l'articolo 21/4c, che prevede come attenuante "la riparazione del danno o la spontanea eliminazione o attenuazione delle conseguenze della propria infrazione", richiamando probabilmente la citata scelta di Pianigiani "di aderire agli accertamenti 'ai soli fini transattivi', con lo scopo di evitare un lungo e oneroso contenzioso con l'Amministrazione finanziaria e senza che ciò possa comportare un riconoscimento anche solo implicito della fondatezza e legittimità dei rilievi... anche al fine di evitare un possibile effetto mediatico della fase contenziosa, lesivo dell'immagine e reputazione del contribuente".
  
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Non appare una risposta neppure la fattispecie prevista all'articolo 44: "In caso di desistenza volontaria, la sanzione è ridotta della metà". La metà di tre mesi sono 40 giorni. Ma il richiamo dello stesso articolo offre uno spunto interessante quando stabilisce che "Nel caso in cui l’azione o omissione sia diretta a conseguire un illecito vantaggio la sanzione è aumentata". E' palese l'arma offerta alla futura difesa dei titoli della Mens Sana (perché la tanto invocata difesa ci sarà: nei prossimi giorni se ne saprà di più): essendo in questo caso la sanzione non solo non aumentata, ma perfino diminuita al di sotto anche del minimale previsto, queste sentenze sono lì a stabilire che non è stato conseguito un illecito vantaggio.

E comunque anche a rigor di logica, e non solo in punta di diritto, il rigore e la severità dimostrate nelle sanzioni contro i tesserati hanno il potenziale di un interessante precedente nella questione sulla revoca dei titoli. Innanzi tutto perché se si usa un certo metro oggi, non sarebbe un trattamento equo calcare la mano domani. E specificamente, se si è usato un certo metro sulle responsabilità individuali, con sanzioni evidentemente simboliche, sarebbe un accanimento calcare la mano invece laddove (sulla questione dei titoli) l'unica privazione sarebbe non nei confronti dei responsabili ma colpendo la storia e la memoria collettiva che è patrimonio di un popolo.

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